Cosa si cela dietro la liberazione di Osama Njeem Almasri? Tra accuse, giustificazioni e scontri politici, il caso diventa un vero terremoto istituzionale.
Torino, gennaio 2025. Una di quelle notizie che all’inizio sembrano passare sottotraccia, poi esplodono come una bomba. Osama Njeem Almasri, capo della polizia giudiziaria libica, viene arrestato in Italia su mandato della Corte Penale Internazionale (CPI). L’accusa? Crimini di guerra e violazioni dei diritti umani.
Fin qui tutto chiaro, verrebbe da dire. Ma in appena due giorni la situazione si ribalta: Almasri non solo viene liberato, ma espulso con una rapidità che lascia tutti a bocca aperta. Il governo parla di irregolarità burocratiche, ma l’opposizione non ci sta. E da lì parte uno scontro senza esclusione di colpi.
Quando il polverone si alza, arriva il momento di dare spiegazioni. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi prende la parola in Parlamento per difendere la decisione dell’esecutivo.
“La liberazione di Almasri,” spiega Piantedosi, “è stata una scelta obbligata. Il mandato d’arresto presentava errori formali e l’espulsione è stata decisa per motivi di sicurezza nazionale”. Secondo il governo, la CPI avrebbe inviato un dossier “pieno di discrepanze” e non rispettoso delle procedure internazionali. E poi c’è la questione della Libia, un Paese con cui l’Italia ha rapporti delicatissimi, specialmente in tema di flussi migratori e forniture energetiche.
Ma c’è un dettaglio che fa discutere ancora di più: l’assenza di Giorgia Meloni in aula. Mentre il suo governo è sotto accusa, la Presidente del Consiglio evita il confronto diretto. E questo scatena la furia dell’opposizione.
Se il governo prova a difendersi, l’opposizione non molla la presa. Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, è un fiume in piena: “Meloni è la presidente del coniglio, scappa quando c’è da metterci la faccia”. Un colpo duro, accompagnato da un’accusa ancora più pesante a Carlo Nordio, ministro della Giustizia: “Sembra l’avvocato difensore di un torturatore”.
Anche Matteo Renzi non perde occasione per infilarsi nella polemica, paragonando il governo a un cast di fiaba: “Nordio e Piantedosi sono il gatto e la volpe, mentre Meloni è l’omino di burro che lascia scappare tutti.”
E non finisce qui. Altri esponenti della minoranza chiedono trasparenza, accusando il governo di aver agito per motivi politici, più che per questioni legali. C’è chi parla di pressioni da parte della Libia, chi di un’operazione pasticciata che rischia di danneggiare la credibilità dell’Italia a livello internazionale.
Almasri è ormai lontano, ma le domande restano. Perché un uomo accusato di crimini di guerra è stato lasciato libero così in fretta? Il governo insiste sulla sua versione: il mandato della CPI era “eccentrico” e pieno di discrepanze. Ma il sospetto che dietro la decisione ci siano ragioni diplomatiche non si spegne.
Quello che è certo è che il caso ha aperto una ferita nella politica italiana. Da una parte un governo che si barrica dietro le sue scelte, dall’altra un’opposizione che non molla la presa.
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