A Sanremo tanti lo usano, molti nel pubblico lo detestano e lo demonizzano. Ma probabilmente non lo conoscono a fondo. Alla scoperta dell’autotune
Ti è mai capitato di ascoltare una canzone e pensare: “Ma come fa a essere così perfetta, ogni singola nota, ogni respiro?” Quel suono che sembra impeccabile, quasi “al di là della realtà”, è il frutto di una magia tecnologica chiamata autotune.
Ma come funziona esattamente questo strumento che ha rivoluzionato il modo di fare musica? E soprattutto, quanto c’è di “umano” e quanto di digitale in una performance vocale perfetta? Scopriamo insieme come l’autotune ha cambiato la musica, un pitch alla volta.
L’autotune, nato nel lontano 1997 grazie a Antares Audio Technologies, è un software progettato per correggere le imperfezioni nelle performance vocali e strumentali. In pratica, quando un cantante (o un musicista) canta una nota un po’ troppo alta o bassa rispetto alla tonalità giusta, l’autotune interviene per sistemarla, “aggiustando” la performance. Il risultato è un suono pulito, privo di imperfezioni, che a volte può sembrare quasi… soprannaturale.
Se ti stai chiedendo come fa a farlo, la risposta è semplice: l’autotune analizza la registrazione, identifica la tonalità desiderata e sposta la voce della persona verso quella giusta. È un po’ come avere un assistente invisibile che ti guida a cantare la nota perfetta, anche quando la tua voce non ci arriva. Un po’ come un copilota, ma per la musica.
Ok, ma l’autotune non è solo una specie di “filtro” che rende la voce più giusta. All’inizio, molti lo utilizzavano solo per correggere leggere imprecisioni, rendendo il suono più naturale possibile.
Ma col tempo, artisti come T-Pain hanno preso questa tecnologia e l’hanno trasformata in un vero e proprio strumento artistico. Hai presente quel suono che fa sembrare la voce robotica o ultra-lucida? Ecco, quello è l’effetto “T-Pain”. Grazie all’autotune, non si trattava più solo di correggere, ma di modellare il suono della voce come se fosse una scultura digitale.
Con il tempo, l’autotune ha trovato spazio in numerosi generi musicali, dal pop al rap, passando per l’hip-hop. Artisti come Kanye West e Lil Wayne hanno usato l’autotune non solo per perfezionare le loro voci, ma anche per giocare con nuovi suoni e atmosfere. E qui entra in gioco una curiosità: l’autotune è ormai diventato un segno distintivo di un certo tipo di sonorità futurista. Quei suoni artificiali, un po’ robotici, sono diventati il marchio di fabbrica di alcuni generi musicali, quasi un linguaggio sonoro di oggi.
Ma come ogni cosa, l’autotune ha anche i suoi detrattori. C’è chi lo considera una sorta di truffa, una scorciatoia per nascondere l’incapacità di cantare davvero, come accade spesso a Sanremo, la casa delle polemiche.
In effetti, l’autotune è spesso visto come un modo per “sostituire” il talento naturale con la tecnologia. È vero che alcune voci che potrebbero sembrare stonate, se ripulite con l’autotune, suonano impeccabili. Ma è davvero giusto? Questo è un dibattito che infiamma da anni il mondo della musica.
Ma perché l’autotune ci affascina tanto? Forse perché ci dà l’illusione che tutto sia possibile. Che non esistano limiti, nemmeno quando sembra che la voce non ce la faccia. Un po’ come quando vediamo un atleta superare i propri limiti fisici o un artista creare qualcosa di unico. È il fascino del “sublime” che si nasconde dietro la perfezione digitale.
In fin dei conti, l’autotune ha aperto un nuovo mondo musicale. E magari, tra qualche anno, lo vedremo come uno degli strumenti che ha cambiato il corso della musica moderna. O forse, sarà diventato così naturale che nessuno se ne accorgerà più. Che ne pensi?
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